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Santuario Beato Giacomo

La chiesa è sorta contemporaneamente al convento negli anni 1432-1433, quando il papa Eugenio IV, supplicato dal vescovo Carlo Arcamone e dalla università di Bitetto, li autorizzò, con il breve "Piis fidelium", a fondare in luogo "congruo et honesto" una casa religiosa per accogliervi una comunità di Frati Minori Osservanti. Allora, in Puglia, vi erano due gruppi autonomi di Minori Osservanti: i frati del primo ramo erano venuti direttamente dall'Umbria; il secondo ramo, invece, era stato importato dalla Bosnia Argentina(Iugoslavia) nel 1391.
Le anomalie strutturali ed architettoniche, visibili a primo occhio e ancor più evidenziate dai recenti rilievi planimetrici fatti dall' architetto Angelo Turchiano, hanno dimostrato che la chiesa cinquecentesca doveva essere diversa da quella attuale.
Dai cronisti della Serafica Riforma di Puglia, si conosce con certezza che i Frati Riformati, che nel 1625 subentrarono agli Osservanti, iniziarono una serie di trasformazioni radicali in chiesa e in convento, spingendo le innovazioni a tal punto da rendere estremamente arduo poter identificare la planimetria e la morfologia originarie. Bonaventura da Lama dice che essi abbatterono la copertura di legno della chiesa primitiva, e, consolidati dalle fondamenta i pilastri, innalzarono, al di sopra della grande trabeazione, l'attuale volta a botte con le finestre barocche. In un tempo successivo, addossarono ai pilastri, il cui intonaco sui quattro lati è stato rilevato in un recente restauro, le robuste lesene su cui impostarono gli archi delle volte a crociera delle navatelle laterali.
I Riformati ristrutturarono anche il presbiterio, e, come abside, innalzarono l'attuale altare maggiore, alle cui spalle costruirono i due cori sovrapposti, che saranno demoliti e rifatti nel 1842.
Questi lavori dovevano essere completati prima del 22 aprile 1657, quando il vescovo Francesco Gaeta consacrò la chiesa e il nuovo altare e fissò al I settembre la festa della dedicazione. Pertanto se si avvertì la necessità di procedere alla riconsacrazione della chiesa e dell'altare maggiore, vuol dire che i lavori di ristrutturazione dovettero aver cambiato così radicalmente la planimetria e morfologia della chiesa da farla ritenere sconsacrata.
Nel 1901 il portale della chiesa subì vistose trasformazioni che non disturbarono l'euritmia del prospetto del 1761, il quale sviluppa un discorso architettonico logico e coerente fino alla naturale conclusione del fastigio. Infatti, i tre ordini o scomparti, in cui si divide, s'intrecciano armonicamente tra di loro mediante le linee orizzontali, rappresentate dalle due trabeazioni, e le linee verticali delle quattro lesene, le cui mediane si concludono con i due acroteri della cuspide. Tra i capitelli dorici delle lesene e la prima trabeazione, corre un bel fregio, fatto con sei piccoli dischi ombelicati e quattro fasce scanalate a guisa di tiglifi, collegati tra loro da una linea dentata.
L' interno della chiesa ha cambiato continuamente aspetto, a seconda dell' arredevolezza dei superiori, sollecitati dalla petulanza di certi devoti, desiosi di eternare la loro memoria con qualche opera vistosa e consistente.
Così i successivi rifacimenti della pavimentazione fecero sparire le lapidi sepolcrali dei Carafa e dei de Angelis. La voglia di erigere nuovi e più lussuosi altari cancellò vaste aree di pitture murali, di cui è rimasto uno scampolo di testine d'angeli nella nicchia della Pietà. Nel 1943, con il finanziamento del Barone Vincenzo De Ruggiero e la consulenza del soprintendente Schettini, furono smantellati gli altari, per essere sostituiti con 6 nuovi in marmo giallo, i quali non ebbero tregua, perché nel 1976 divennero 5, ai quali furono mozzate la mensa e la pedana.